Omaggio al proprietario del celebre Cinema Mexico di Milano, una delle ultime sale monoschermo della città.
dal libro "Tortona Solari. Milano in un quartiere" di Roberto Monelli

Attorno al 1900, i due stabili sul lato sinistro all’incrocio con via Stendhal sono nuovi e solitari: davanti c’è la fabbrica Riva con accanto la Max Meyer, oltre via Stendhal la vetreria Lucchini, e nient’altro.
Nel 1901 l’oste Guglielmo Scabari costruisce uno stabile «uso teatro» nel cortile del 57, credendo nel futuro. Diventa cinema Sociale nel 1914 nel quartiere che cresce: il cinema più vicino è il Colombo nato nel 1904 a Porta Genova; il Pathé (oggi Orfeo) di viale Coni Zugna avrebbe aperto nel 1920 e il Ducale di piazza Napoli nel 1938.
Dal 1925 si chiama Savona, con due film al giorno. Come non ricordare le proiezioni nel 1932 di Miraggio del West o Vendetta còrsa, il mitico King Kong nel 1934, o il più autarchico I grandi magazzini di Camerini nel 1940.
Nel Dopoguerra la sala diventa opportunamente Cinema Libertà, libero di proiettare film inglesi o americani, come Delitti senza castigo, o Il ponte di Waterloo.
Il locale si chiamerà di nuovo Savona, poi diventa Mexico nel 1972, proponendo film di qualità, come Anonimo veneziano, Easy Rider, Zabriskie Point, rassegne di film musicali, come Woodstock e Pink Floyd a Pompei.
La diminuizione del pubblico causata dall’avvento delle televisioni private, problema che accomuna molte sale, lo porta a un passo dalla chiusura ̶ scongiurata nel 1980 dall’intervento di un (siamo al cinema) supereroe: Antonio Sancassani.
«Lavoravo come direttore di un gruppo di cinema gestiti dal Teatro Nazionale» ̶ ci racconta ̶ «ma volevo una sala tutta mia, e contro il parere di tutti rilevo il Mexico, che faceva due film giorno a 150 lire. Allora non si proiettavano film musicali in maniera continuativa, e l’ho fatto io. Il primo è stato The Song Remains the Same (Led Zeppelin dal vivo), poi Hair e Tommy.»
Il locale mantiene la capienza da 800 posti, aderisce al circuito d’essai e introduce i film di mezzanotte venerdì e sabato, poi interrotti per non disturbare i vicini. Sancassani crede nel monosala e vuole essere indipendente dai colossi della distribuzione. L’intuito, e un pizzico di fortuna portano alla svolta. Nel 1975 aveva visto The Rocky Horror Picture Show:
«Era stato un flop, ma mi piaceva, i colori, gli attori, la musica. Così l’ho ripreso, ed è durato un anno. Quando dei ragazzi americani si mettono a metà sala e parlano con lo schermo, scopro che laggiù si fa così. Lo vedo anche nel film Saranno famosi, dove gli aspiranti attori s’incontrano in un locale della periferia di New York, con le sedie di legno, come il Mexico, e interagiscono con il Rocky Horror. Perché non farlo da noi?»
Sancassani propone a Claudio Bisio, che voleva portare il Rocky Horror come saggio di fine anno alla Scuola del Piccolo Teatro, di farlo al Mexico.
«La sera della prima, capodanno del 1981, a mezzanotte meno un quarto non c’era nessuno, pochi minuti dopo il cinema era pieno».
E se allora qualcuno ha visto un corteo funebre intorno all’isolato con tanto di bara (con dentro Riff Raff), non aveva le allucinazioni, era vero.
Il Mexico rimane uno dei pochi cinema al mondo che fanno ancora lo spettacolo, con diversi gruppi che hanno interpretato gli stravaganti personaggi.
«Ci sono passati attori come Gianmarco Pozzoli e Valeria Graci, e un giorno una coppia con un figlio di 14 anni mi dice che si sono conosciuti al Rocky Horror. A quell’età mio padre mi portava al cinema Vittoria di Bellagio, e grazie a un amico che vendeva le bibite sono entrato in sala di proiezione, è cominciato tutto da lì. Mi spiace che mio padre, contadino, non abbia visto le piccole cose che ho fatto.»
Una volta Sancassani nomina il suo cinema in un convegno ad Atlantic City, e gli americani fanno: «Mexico Rocky Horror!» Ne aveva parlato addirittura «Variety», la bibbia degli addetti ai lavori dello spettacolo. Così va a New York a vedere lo spettacolo originale, a suo dire «meno bello del nostro.»
Alla fine degli anni Novanta si ristruttura la sala e si differenzia l’offerta: rassegne di cortometraggi oppure di film in lingua originale, matinée per le scuole, sconto al lunedì per chi viene al cinema in bicicletta. Tra i film indipendenti, Fame chimica del 2003, ambientato al Giambellino, Apnea, Fuori vena.
Poi la seconda svolta: il primo giugno 2007 esce Il vento fa il suo giro, 80 persone in sala. Opera prima senza distribuzione ̶ il regista Giorgio Diritti era arrivato con la pizza della pellicola sottobraccio ̶ ambientato in Val Maira con attori quasi tutti non professionisti, storia senza sconti di cultura contadina e modernità che piace a Sancassani. Il giorno dopo la sala è piena, la gente applaude. Durerà due anni, una cosa mai vista, comprese le serate con gli interpreti, i musicisti, i formaggi della valle. L’evento è nelle motivazioni dell’Ambrogino d'Oro del 2011 dato al «Cinema Mexico». Nel 2015 arriva il premio Carlo Lizzani, «all’esercente italiano più coraggioso». Anche il regista Michele Rho cercava una distribuzione per il suo film Cavalli.
«Ogni volta che andavo da Antonio» racconta «finivamo sempre a parlare d’altro: della passione per il suo mestiere, dell’emozione forte che ancora prova quando si spengono le luci in sala, della fatica di gestire un cinema in totale indipendenza.»
Così realizza nel 2017 il documentario Mexico! Un cinema alla riscossa, un sincero ritratto dell’uomo e del suo locale.
Anche noi ̶ ricevuti nell’ufficio dove, tra altri, campeggia il poster del film con l’eroe (lui) che ci guarda severo ̶ proviamo (ogni tanto) a riportare il discorso sul rapporto del Mexico con il quartiere: ai tempi c’era un vicino ristorante frequentato da malavitosi, poi dagli anni Ottanta il pubblico arrivava da tutta la città, meno durante la Fashion Week per via del traffico. Ma è venuto anche Giorgio Armani, sempre soddisfatto dei film, che nell’atrio si diverte a mostrare agli amici il murales de Gli intoccabili, di cui ha disegnato i costumi.
Osiamo chiedere a Sancassani quali film preferisce. «Quelli di Kubrick, ha spaziato in ogni genere, un genio.» Torniamo alla realtà. «Ogni tanto mi chiedono di vendere, come hanno fatto Dolce & Gabbana, ma io non vendo, sono sposato da cinquant’anni, non abbiamo figli e viviamo con il gatto, potrei fare il pensionato ma non mi ci vedo, ho passato una brutta malattia e il Mexico mi ha aiutato, non vorrei che diventasse uno showroom, vorrei che restasse un cinema.» «Come si chiama il gatto?» «Romeo.» Standing ovation.